Un maestro di vita: Gian Piero Orsello

Arrivo in ritardo come al solito.
Il cortile del Forte Michelangelo è pieno; sul palco la giuria è silenziosa ma c'è un'intervista in corso. Cerco di capire chi stia intervistando chi, ma non vedo nessuno. Penso subito "Ma dove li hanno messi?".
Poi riconosco la voce.
Chi parla è Gian Piero Orsello.
Stanno trasmettendo una sua intervista e mi emoziono moltissimo perché lo riconosco.



Siamo a Civitavecchia e siamo al Premio di cultura Gian Piero Orsello.
Il Premio, in realtà, nasce molti anni fa e si chiamava "Premio di cultura di Santa Marinella". Lo aveva ideato il mio professore, Gian Piero Orsello, per dare spazio a chi in qualche modo rappresentasse un ideale di pensiero, azione, espressione. Per questo motivo i premiati erano moltissimi: categoria Europa, giovani, innovazione, media, editoria, saggistica, radio e poi premi speciali della giuria.
C'era un'opinione da smuovere, c'erano delle menti da far ripartire, c'era - allora - la possibilità di non cadere nel baratro e il Professore aveva capito che un premio di cultura (di CULTURA e non letterario) era la strada giusta da percorrere.
Da grande sostenitore dei giovani che era mise in giuria anche me, appena laureata, dandomi la possibilità di scegliere premiati e proporre nomi mettendomi alla pari di personaggi come la Senatrice Tedesco, che si sedeva vicino a me nella storica sede dell'Istud a via del Corso.
Ora la figlia, Daniela, ha deciso di riprendere l'iniziativa del padre e ha ricomposto la giuria del Premio.
Per me è un onore partecipare e contribuire così a mantenere vivo il suo ricordo e il suo insegnamento.
Devo molto al Professore (che mi esortava a dargli del tu e non ci sono mai riuscita) e mi manca molto; adesso avrei davvero bisogno delle sue parole e dei suoi incoraggiamenti.


Questo è il momento più bello della mia vita: è il 14 luglio 2000 e sono appena diventata Dottore in Scienze della Comunicazione. Il Professore, congratulandosi con me, mi sta dicendo "Non smettere di studiare".
Avevo portato a termine quella che lui definiva un'impresa eroica: la tesi sulle strategie di comunicazione della Commissione Europea. Era il 1999 quando gliela proposi e, mentre mi firmava l'assegnazione mi disse: "Secondo me dovrai cambiare tesi per mancanza di informazioni, ma sono molto interessato all'argomento".
Internet non era molto funzionate all'epoca; imparai il francese e volai a Parigi per vedere e studiare il primo Centro di Documentazione Europea, sotto la Grande Arche.
Nel 2001 sono poi andata a Bruxelles in Commissione Europea per uno stage e poi, disgraziatamente, sono tornata in Italia.
Il nulla.
Il Professore allora mi aveva veramente presa per mano, ma era tutto troppo difficile: il lavoro che non trovavo, la mia famiglia che non capiva, i soldi che non avevo, io che mettevo tanta carne al fuoco ma poi bruciavo tutto e  - proprio come ora - mi imbarcavo in troppi impegni che sì, mi riempivano la giornata, ma non mi facevano costruire nulla. Non vedevo la direzione delle mie azioni, Non ci stavo più capendo niente.
Cercavo di tutto ma senza ragionarci.
Poi un colloquio. L'ennesimo.
A mio avviso uno schifo. Peggio degli altri.
La mattina dopo, alle 11,00, ero ancora nel letto. Non volevo alzarmi, andava tutto troppo male. Il telefono però continuava a squillare e alla fine mi sono alzata per rispondere.
"Ciao sono Ilaria"
Scusi?
"Parlo con Marta? Sono Ilaria di Burson Marsteller. Prendiamo te; puoi venire domani?"

A quel punto ho preso un'altra strada.
Il Professore non la condivideva fino in fondo ma mi sosteneva perché comprendeva le difficoltà in cui mi trovavo: lasciavo l'Università, gli studi sull'Europa, i convegni, gli esami, la prospettiva federalista la mettevo nel cassetto, gli articoli smisi di pubblicarli.

Il Professore è stato un grande maestro di vita; in certe occasioni avevo più paura del suo giudizio che di quello di mio padre.
Come quando, poche settimane dopo essermi sposata, ho accettato il lavoro a Poggibonsi e non avendo il coraggio di dirglielo non lo chiamai per molti mesi. Poi alla fine una sera di aprile telefonai e lui, lapidario, mi disse quello che dentro di me sapevo perfettamente "Ma non è una scelta giusta, non potrà darti niente, non costruirai niente. Tu ora hai una famiglia!". Per la prima volta si era arrabbiato. E io non avevo argomentazioni. Ma non avevo molte scelte o per lo meno non ritenevo di averne.
Ed è stata l'ultima volta che l'ho sentito. Pochi mesi dopo ci ha lasciato.
Troppo presto Professore, avrei avuto ancora bisogno dei suoi insegnamenti.



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