La sharing vincerà?



Boston, 2014. L’autista spiega che guida per Uber due pomeriggi a settimana. “L’Università di mia figlia costa 2.000 dollari in più del previsto. In questo modo posso pagare la retta”. Già, negli Stati Uniti se hai più spese il problema non è tagliare ma guadagnare di più.

Torino, 2016. I rider di Foodora mettono in campo il primo sciopero per una start up di consegne a domicilio. Sono sotto pagati, sfruttati. Foodora risponde che chi lavora per loro non può aspirare ad un reddito paragonabile ad altri lavori, ma ad un'entrata sotto tutti i punti di vista “accessoria”.
In effetti non si può pensare che meno di tre euro a consegna possano in qualche modo rappresentare l’unica forma di guadagno per una persona. Foodora appartiene alla gig economy (i lavoretti organizzati da una piattaforma on line) e nulla a che vedere con le tradizionali forme di lavoro dipendente subordinato.

Roma, metà anni '70. Mia zia racconta: “Ero incinta del mio secondo figlio. Il giovedì ho perso il lavoro, la mia fabbrica era stata venduta ad un gruppo danese e ci  hanno licenziati tutti. Il giorno dopo, il venerdì, fallisce il giornale dove lavorava mio marito, stava alle  rotative. Disoccupati tutti e due. Come ce la siamo cavata? Mio marito si è messo agli angoli delle strade a vendere sacchi di patate, li prendeva dal banco della verdura di un nostro parente. Oggi se perdi il lavoro ma che ti inventi? Mica lo potresti fare, dico mettersi a vendere le patate. Ti fanno le multe o peggio ti chiedono il pizzo”.

La sharing: leva dell’italica ripresa

Quello che apprezzo della sharing economy è la forte spinta dal basso che la caratterizza.
Persone normali che – rilevata un’opportunità inespressa dal mercato- la mettono a frutto attraverso delle piattaforme on line che creano un luogo democratico di incontro tra domanda e offerta. Aprono, cioè, NUOVI mercati che nulla tolgono ai mercati già esistenti. Anzi, li costringono – dal basso- ad elevare i propri standard. Chi viaggia con BlaBlacar non solo non prende il treno (forse la sua destinazione non è servita?), ma nemmeno il pullman; chi dorme in una stanza trovata su AirBnB non è certo il target di un hotel a 5 stelle; chi partecipa al social eating di Gnammo non è certo il tipo di cliente che va nei ristoranti stellati; chi usufruisce di Uber probabilmente non ritiene buono il servizio taxi del posto e quindi non ne usufruirebbe mai. O forse -più semplicemente- i clienti sono ANCHE clienti degli altri, ma certo non li vivono in competizione.Si tratta di esperienze del tutto diverse.
La sharing economy è assolutamente in linea con il migliore approccio italico ai problemi, gli da una forma e una possibilità di rinnovato vigore.
Le nostre famiglie sono piene di aneddoti legati ai modi più strampalati per arrivare alla fine del mese: chi cucinava per i vicini, chi svolgeva lavoretti, chi vendeva i gelati di sera dopo aver chiuso il negozio, chi raccoglieva i cartoni a fine turno e li rivendeva … il doppio, il triplo lavoretto hanno permesso a molte famiglie italiane di uscire dal tunnel della povertà.

L’intervento del legislatore
È stata approvato il 17 gennaio alla Camera il provvedimento concordato da Pd, M5S, sinistra italiana e Area popolare (326 voti a favore, 23 contrari e 27 astenuti) circa la disciplina dell'attività di ristorazione in abitazione privata  (testo unificato delle proposte di legge: Minardo; Cancelleri ed altri; Basso ed altri; Ricciatti ed altri: disciplina dell’attività di ristorazione in abitazione privata (a.c. 3258-3337-3725-3807-a)

Osservazioni personalissime: solo barriere di ingresso

Prima perplessità: perché iniziare da un di cui della sharing economy (l’home resturant) e non pensare ad una regolamentazione della sharing in generale? Perché il fenomeno è liquido, e il legislatore non ha strumenti per gestirlo.

Fermo restando che la tracciabilità dei pagamenti sia necessaria quale forma di contrasto all’evasione fiscale, il testo è sì un riconoscimento dell’attività di home resturant ma è miope, non centrato rispetto al fenomeno in generale e che non coglie correttamente il tema del contrasto alla “concorrenza sleale”.

Pagamenti solo elettronici: se il presupposto è il contrasto all’evasione allora questo principio deve valere  per qualsiasi attività commerciale o professionale, senza possibilità di contanti neppure per 50 centesimi. Perché altrimenti il legislatore assume che la sharing economy sia sinonimo di evasione fiscale. Ecco, usiamo la sharing economy per elevare gli standard degli altri: facciamo sparire i contanti. Per tutti.

Le associazioni di categoria: invece di creare un’alleanza hanno scelto lo scontro, non comprendendo la spirale involutiva a cui questo atteggiamento li condannerà. Avrebbe potuto essere l’occasione per chiedere degli allentamenti, ma no: meglio difendere le caste anche a costo di continuare a sostenere vincoli assurdi e commerci illegali di licenze. Mi sarei aspettata più strategia da parte loro.

Divieto di accoppiare più forme di sharing economy, nello specifico l’home resturant con l’ospitalità. Perché? Se possiedo una piccola pensione, non posso forse aprire anche un piccolo ristorante? Qual è il senso della norma? Il numero delle licenze?

Concorrenza sleale: passiamo alle vendite on line. I prodotti costano di meno, a volte molto di meno, e vengono consegnati dove più è comodo. Direi, con gli occhi del legislatore, che siamo di fronte ad un evidente caso di concorrenza sleale. Peccato che siano gli stessi negozi a pubblicizzare i loro stessi prodotti sui loro siti web a costi inferiori (La Feltrinelli, Mediawords, Euronics, catene alberghiere anche di lusso e molti altri). Cosa è, oggi, la concorrenza?

Abitabilità: è di tutto buon senso richiedere che le attività di home resturant si svolgano in abitazioni che abbiano l’abitabilità. Peccato che la maggior parte delle abitazioni regolarmente vendute e pagate con regolari mutui bancari questa certificazione non ce l’abbia. Facciamo in modo che la norma di riferimento venga applicata correttamente in tutti gli ambiti previsti e che questo vincolo (ripeto: assolutamente sensato) non sia il modo di creare delle barriere d’ingresso ad un mercato.




Per riflettere



Commenti

  1. articolo davvero interessante, non avevo seguito le ultime vicende, mi perdo i pezzi, tu invece sei sempre attenta

    RispondiElimina

Posta un commento