Il welfare aziendale delle PMI in Italia: il Welfare Index

Enea Dallaglio di Innovation Team illustra i risultati dell'indagine

Grandiosa presentazione a Roma della prima edizione del Welfare Index PMI. Erano anni che non assistevo ad un bell'evento in cui non c'è sfarzo ma puntigliosa cura del dettaglio (ma una cosa mancava: l'# ufficiale per agganciarsi alla diretta Twitter, la conversazione che stava nascendo sui social. Di mia iniziativa ho messo #welfareindexpmi... troppo lungo ma almeno ci siamo trovati!).

Ma si passi al punto e cioè all'analisi del welfare aziendale così come inventato, interpretato e rappresentato dalle PMI (una cosetta da niente: solo l’80% della forza lavoro del Paese e basta questo per capire quanto pesi su questa fetta il mondo agricolo, qui rappresentato da Confagricoltura) e a breve sostenuto grazie al regolamento attuativo della legge di stabilità 2015 che prevede importanti novità per le imprese che investono in questo settore aziendale.

Perché investire in welfare aziendale?
Perchè banalmente, come spiega Philippe Donnet CEO di Generali Italia, con il welfare aziendali vince il lavoratore, l'azienda, la comunità e il Paese. I dipendenti vedono aumentare il proprio reddito reale e beneficiano di molte iniziative di conciliazione; le aziende guadagnano fedeltà e produttività (ma questa fedeltà tanto decantata davvero conta qualcosa? mi spiace non averla mai sperimentata sulla mia pelle sia in prima persona - ok, se ci lasci avrai fatto le tue valutazioni- che verso i miei colleghi- io piango per il turn over oltre una certa soglia di sostenibilità, ma interessa solo a me! In genere si volta pagina e tanti saluti, tanto rimaniamo connessi su Linkedin...); ci guadagna la comunità locale - immagino soprattutto nelle piccole comunità- che riescono ad usufruire di maggiori servizi ed interventi (molto spesso il welfare aziendale si traduce in interventi di recupero urbanistici) e ci guadagna l'Italia: se le PMI stanno meglio ne giova tutto il sistema.
certamente la spinta verso il welfare aziendale nasce dal buon senso dell'imprenditore, ma per crescere in modo utile occorre strutturarlo. Anche perché una delle sue caratteristiche è di nascere in maniera non negoziale, sono cioè atti unilaterali che non passano attraverso la contrattazione sindacale o di altro tipo. Ma questo è spiegato da molti con il fatto che il nelle PMI ma trattativa è più semplice, avviene in conversazioni che possono svolgersi al supermercato quando un imprenditore o un dirigente incontra un collega che prima di tutto è un "compaesano". Vabbè, questa non l'hanno detta loro ma la porto io come esperienza diretta di quando lavoravo in un centro di 26.ooo abitanti e mi capitava di avere le conversazioni più interessanti e proficue di fronte all'area latticini ed insaccati...

L'indagine è stata condotta su 2.140 aziende dei tre settori produttivi (industria, commercio e servizi e agricoltura) e curata da Innovation Team.
I risultati sono prevedibili, le aree in cui le PMI risultano attive sono le tre classiche:
1 - Iniziative per la gestione del personale: formazione e sostegno alla mobilità (64,1%), assicurazioni per dipendenti e famiglie (53%), sostegno economico ai dipendenti (46,2%)
2. Iniziative classiche di welfare complementare: previdenza integrativa (40,4%), Salute (38,8%), sicurezza e prevenzione (38%)
3. Iniziative più innovative: pari opportunità e sostegno ai genitori (18,5%), welfare allargato al territorio (15%), integrazione sociale (14,1%) e conciliazione vita lavoro (4,9%)

E anche la classificazione è prevedibile

  • Vita e lavoro” (21% del totale), le imprese con rilevanti iniziative nelle aree della conciliazione vita e lavoro, del sostegno alle pari opportunità e ai genitori;
  •  “Inclusivi” (9,5%), le imprese più attive nelle aree della integrazione sociale e delle iniziative di welfare allargate al territorio;
  •  “People care” (10,8%), le imprese con iniziative concentrate soprattutto nelle aree della gestione delle risorse umane e dei fringe benefit;
  •  “Attuatori” (48%), aziende attive in diverse aree del welfare aziendale che però prevalentemente applicano quanto previsto dai contratti nazionali di categoria;
  •  “Beginner” (10,7%), imprese che sono nella fase iniziale di esperienza del welfare aziendale.

Ciò che non era prevedibile è che fossero TUTTE attive. 
Tutte.
A vari livelli, ovvio. Tutto il mondo delle PMI si è seriamente posto il tema del welfare aziendale e molte quello della previdenza sanitaria e d assicurativa, considerata - nelle parole di alcuni imprenditori presenti- come un aspetto non più correlabile al benefit aziendale ma come essenziale nella contrattualizzaizone.
Le PMI hanno visto e vissuto, e continuano a farlo, gli effetti neri della crisi e -secondo me- l'assenza dello Stato non solo a livello centrale ma anche locale. Le risorse che calano, le certezze che svaniscono, la burocrazia, la difficoltà di erogare anche un solo euro in più a beneficio della cittadinanza.
Per l'imprenditore l'azienda è la vita della propria famiglia e tutto deve essere fatto per salvarla.
Ok, non sono tutti santi, ma quelli raccontati lo scorso 8 marzo sono veramente persone che si sono rimboccate le maniche, non c'è dubbio, e non sono i soli.
Ricostruzione della scuola materna e costituzione di una squadra di calcio (Panzeri), una onlus interamente finanziata dall'azienda per la gestione dei migranti arrivati nella comunità (Lurisia),  appartamenti ad affitto calmierato per i lavoratori (Socfeder), politiche di conciliazione all'ennesima potenza (Rusconi Viaggi), assunzione di intere famiglie (Agrimad).
Alberto Baban, Presidente Piccola Industria Confindustria, lo ripete: il welfare aziendale non è e non potrà mai essere sostitutivo di quello dello Stato.
Va bene, non sostitutivo ma integrativo si. E allora l'Italia vivrà l'ulteriore frattura di chi sta dentro e chi sta fuori, di chi non sta nel pubblico e nemmeno nel "privato buono e responsabile" e ad essere fuori siamo veramente in tanti, troppi.



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